Con il termine di interferente endocrino si intende qualsiasi sostanza esogena che altera la funzionalità del sistema endocrino, con attività “simil-estrogenica”, causando effetti avversi sulla salute. Alcuni esempi sono gli ormoni di sintesi, i farmaci, alcuni inquinanti/contaminanti come i pesticidi, gli erbicidi, le diossine, le resine epossidiche, gli ftalati, le sostanze tossiche come quelle di contenitori/bottiglie/pellicole di plastica, etc.
Essi comprendono:
Queste sostanze a cui è esposta la madre arrivano attraverso il sistema digerente, i polmoni o la cute, passano al fegato della mamma e poi attraverso la placenta arrivano al feto. L’inquinamento ambientale, unitamente a fattori genetici predisponenti, svolge un ruolo importante nel determinare effetti avversi sulla salute umana, sia a breve che a lungo termine. La letteratura scientifica ci indica che le persone più esposte agli interferenti endocrini hanno un maggior rischio di patologie riproduttive (infertilità, rischio di aborto ed endometriosi) per l’effetto antiandrogenico o estrogenico di alcune di queste sostanze, di disturbi comportamentali nell’infanzia e di alcuni tipi di cancro (testicolo, mammella, etc.). Oggi si parla anche di un possibile “effetto cocktail”: un possibile effetto tossico derivato dalla somma degli effetti dei singoli Interferenti Endocrini, anche se a dosi molto basse (Istituto Superiore di Sanità e Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Conosci, riduci, previeni gli interferenti endocrini. Decalogo per il cittadino., 2012) .
Durante il primo trimestre di gravidanza, quando avviene l’organogenesi del feto, il ruolo degli ormoni è determinante per un corretto sviluppo e su questo processo possono interferire negativamente tali sostanze.
Gli interferenti endocrini possono modificare le caratteristiche epigenetiche di un individuo: possono comportare cambiamenti nell’espressione genica senza modificazioni della sequenza nucleotidica del genoma, attraverso alterazioni nella metilazione del DNA, modificazioni degli istoni e del pathway dei piccoli RNA non codificanti, sia durante lo sviluppo embrionale sia nelle prime fasi di vita neonatale. Questi cambiamenti epigenetici, che possono essere indotti da fattori ambientali quali esposizioni axenobiotici o carenze nutrizionali, sono una risposta biologica a fattori di stress ambientali e possono essere trasmessi alla prole (Ficociello et al, 2010). Poichè non modificano direttamente il DNA sono reversibili: uno stile di vita sano nei primi mesi di vitapuò ripristinare l’equilibrio.
Recenti studi suggeriscono che lo stile di vita materno, stress, inquinanti, nutrizione possono influenzare anche la programmazione intrauterina della modalità di invecchiamento del bambino in età adulta (Fernandez-Capetillo, 2010).
La comunità internazionale sta affrontando il problema dei possibili contaminanti/inquinanti che agiscono come Interferenti Endocrini e l’Unione Europea ha elaborato il Regolamento REACH (Regolamento CE 1907/2006), un programma di regolamentazione, valutazione e autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche presenti sul mercato. Alcune sostanze sono già vietate (ad esempio il Bisfenolo A nei biberon), per altri vi sono delle normative che regolano la quantità massima che può essere presente nei prodotti e alimenti. Con lo studio PREVIENI l’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha elaborato un Decalogo con l’obiettivo di informare il cittadino in merito ai rischi derivanti dall’esposizione a talune sostanze chimiche presenti in oggetti di utilizzo quotidiano.
Tra i contaminanti che possono essere presenti negli alimenti e mangimi come risultato delle varie fasi di produzione, lavorazione o trasporto e che hanno un possibile effetto negativo sulla salute dell’uomo e sul sistema endocrino, troviamo:
I pesticidi sono prodotti fitosanitari utilizzati in agricoltura per proteggere le colture da malattie e infestazioni; sono regolamentati dall’EFSA (l’Agenzia dell’Unione Europea che si occupa di valutazione del rischio e sicurezza alimentare) e comprendono insetticidi, erbicidi, fungicidi, regolatori di crescita delle piante, biocidi (utilizzati per debellare organismi nocivi e portatori di malattie, come insetti, ratti e topi) e medicinali veterinari. Nonostante la regolamentazione prevista dall’Unione Europea e il divieto di utilizzo di certi pesticidi, queste sostanze persistono nell’ambiente tal quali o come residui. Inoltre molti cibi sulle nostre tavole provengono da paesi con norme più permissive a riguardo. Queste sostanze possono contaminare le acque, essere presenti come residui tossici nei prodotti alimentari, portando conseguenze sulla salute dei consumatori e possibili intossicazioni. In particolar modo la letteratura ci suggerisce che l’esposizione dei bambini ai pesticidi può comportare conseguenze e complicazioni croniche sulla loro salute, come problemi sullo sviluppo neurologico e comportamentale, difetti alla nascita, asma e cancro (Roberts et al, 2012).
Alcuni studi correlano anche l’esposizione al glifosato (un erbicida non selettivo impiegato sia su culture arboree che erbacee e aree non destinate alle colture agrarie ; ampiamente diffuso nelle acque) con maggior rischio di morte neonatale e problemi di crescita (De Araujo et al, 2016); l’esposizione ai pesticidi è stata messa in relazione con lo sviluppo di autismo: i bambini le cui mamme erano state esposte a pesticidi (vivevano molto vicine a zone esposte ai pesticidi) avevano rischio dal 60 al 200 % più alto di avere bambini con sviluppo di autismo (Holzman, 2014).
Secondo il Rapporto dell’Unione Europea sui residui di pesticidi del 2011 (EFSA, 2011), alti livelli di pesticidi sono stati riscontrati nel luppolo, tè e caffè, infusi, verdura a foglia, legumi,frutta da agricoltura convenzionale. Secondo il Rapporto del 2013 (EFSA, 2013) i prodotti che maggiormente eccedono rispetto al Maximum Residue Level (MRL), cioè la massima concentrazione di residuo di pesticidi (espressa in mg/kg) consentita dalla Legge in alimenti e mangimi, sono la frutta fresca, la verdura e la frutta secca di agricoltura convenzionale. Gli stessi prodotti da agricoltura biologica presentano livelli di residui di pesticidi più bassi. Solo i prodotti destinati ai bambini presentano livelli di pesticidi residui simili tra i prodotti convenzionali e biologici. Per questo motivo è consigliabile che una donna in gravidanza, che dovrebbe consumare un buon quantitativo di alimenti vegetali, in particolare se vegetariana o vegan, preferisca alimenti di agricoltura biologica, visto l’influenza che queste sostanze possono avere sulla salute sua e del nascituro.
Anche durante l’allattamento è opportuno che la mamma ponga attenzione al consumo di cibi potenzialmente più ricchi di sostanze pericolose perché queste possono passare nel latte materno ed entrare quindi in contatto con il neonato, che è più facilmente intossicabile e vulnerabile per il suo minor rapporto peso/altezza. L’esposizione ai pesticidi da parte del bambino aumenta il rischio di tumori cerebrali infantili (Grenop et al, 2013). Alcuni veleni per il bambino che possono essere presenti nel latte materno sono: i bisfenoli, gli ftalati contenuti nelle bottiglie o contenitori di plastica, i policlorobifenili (PCB), il piombo e il metilmercurio, le micotossine presenti in cereali e frutta secca.
Il Decalogo “Conosci, riduci, previeni gli interferenti endocrini” del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare invita la mamma a ridurre, anche durante l’allattamento, l’assunzione di pesce di grossa taglia, specie se in scatola e di provenienza incerta, per il possibile accumulo di metalli pesanti, a preferire il consumo di verdura e frutta fresca di stagione e biologica e a porre la giusta attenzione anche allo smaltimento dei rifiuti.